Chi è causa del suo mal pianga se stesso. La sterile polemica per gli accordi predefiniti sulla gestione dei flussi migratori, pone l’accento su uno dei nostri tradizionali difetti. Nonostante siamo uno dei paesi fondatori e la terza economia dell’Ue, raramente ci poniamo nel gruppo di testa dei paesi che elaborano policies o cercano soluzioni di compromesso da proporre agli altri Stati. Così ai vertici ci troviamo spesso dinanzi a proposte ampiamente condivise ed è difficile far passare il nostro punto di vista o comunque far pesare i nostri interessi. Non ci resta poi che lamentarci e imprecare contro chi avrebbe dovuto vagliare ex ante le implicazioni delle nuove regole europee.
La storia si ripete. Mentre il nuovo governo sembra esclusivamente focalizzato sui flussi migratori e sull’allentamento dei vincoli di spesa, in Europa si sta giocando un’altra partita non meno rilevante per il nostro futuro: le riforme per rafforzare l’Unione economica e monetaria e completare l’unione bancaria e dei capitali. Partita da cui da mesi siamo sostanzialmente assenti. Tre autorevoli economisti – Giavazzi, Reichlin e Zingales – hanno scritto sul Corriere della Sera una lettera aperta al Presidente del Consiglio, sottoponendogli quattro proposte concrete.
Il pallino resta in mano a Francia e Germania che da tempo cercano un punto di equilibrio tra le rispettive weltanschauung: Macron vuole una maggiore condivisone dei rischi nell’Eurozona, mentre Merkel insiste sulla vecchia ricetta della disciplina fiscale. Le intese raggiunte a Meseberg hanno sdoganato la proposta francese di stabilire un bilancio per l’eurozona (ma contenuti e soprattutto importi restano ancora vaghi). Il Meccanismo europeo di stabilità (MES) dovrebbe essere incorporato nei trattati europei (pur senza mutarne la governance), potrebbe erogare linee di credito agli Stati in via precauzionale e a medio termine disporre una linea di credito per finanziare il fondo di ricapitalizzazione delle banche previsto nel quadro dell’unione bancaria (il c.d. “backstop“). Un mero accenno a future negoziazioni è stato fatto per quanto attiene alla fatidica assicurazione comune dei depositi bancari, fortemente osteggiata dalla Germania perché teme di far pagare ai propri contribuenti il dissesto delle banche estere. Altrettanto vago è il riferimento all’istituzione di un’assicurazione europea per la stabilizzazione della disoccupazione che l’Italia aveva caldeggiato.
La mossa dell’asse franco-tedesco si inserisce in una complessa partita a scacchi e dunque l’esito delle negoziazioni è tutt’altro che scontato. Dodici paesi prevalentemente del nord Europa, che già in altre occasioni avevano osteggiato le politiche di maggiore condivisione dei rischi, hanno subito manifestato la propria avversione alla proposta di bilancio per l’eurozona.
La Commissione, per parte sua, ha presentato un interessante programma di riforme cercando di trovare un punto di equilibrio tra le diverse posizioni. Al posto del bilancio autonomo, fortemente voluto da Macron, ma più complesso da realizzare, ha proposto una funzione europea di stabilizzazione, utilizzabile in caso di ampi shock asimmetrici dai paesi dell’Eurozona, per un importo complessivo di 30 miliardi da inserire all’interno del Quadro Finanziario Pluriennnale 2021-27. Ha inoltre presentato un programma di sostegno alle riforme strutturali (mercato del lavoro, istruzione, sistemi fiscali, pubblica amministrazione, ecc.) con un bilancio complessivo di 25 miliardi erogabili nell’arco dei sei anni. Propone poi la trasformazione del MES in Fondo Monetario Europeo, integrandolo all’interno dei trattati e attribuendogli la predetta funzione di backstop nel quadro dell’Unione bancaria. Infine, ha proposto di sviluppare un mercato dei titoli garantiti da bond sovrani (SBBS) per aumentare l’offerta di strumenti a basso rischio e favorire la diversificazione per le banche che oggi acquistano soprattutto bond domestici. Non sono ancora i safe asset emessi dall’Unione, ma è certamente un passo avanti verso il derisking del sistema.
L’Italia può svolgere un ruolo importante in Europa in questo momento, giocando molte partite su tavoli diversi. Il vero interlocutore resta la Merkel che, essendosi indebolita internamente, ha bisogno di portare a casa dei risultati. Dopo aver sopportato l’onere per il salvataggio e/o la liquidazione di sette banche, abbiamo le carte in regola per spingere sulla realizzazione a breve dell’assicurazione comune per i depositi, trovando delle formule di contribuzione commisurate alla dimensione del sistema bancario e alla sua rischiosità in base ai periodici stress test. Il bilancio dell’eurozona è certamente un risultato importante, ma – ammesso che si superino le obiezioni dei dodici paesi – contano tempi di implementazione, dimensione, modalità di alimentazione, governance e tipologia di investimenti. Il timore è che sia una concessione solo di facciata a Macron. Nel perseguire questo ambizioso progetto non si perda per strada la funzione di stabilizzazione all’interno del bilancio pluriennale che consentirebbe di proteggere comunque gli investimenti pubblici in situazioni di grave crisi (ma l’erogazione dovrebbe avvenire in funzione delle rispettive esigenze e non della popolazione, come prevede la bozza della Commissione).
Per l’Italia è poi molto importante portare a casa il programma di sostegno alle riforme (il cui importo potrebbe essere incrementato). Infine, è opportuno cogliere l’apertura della Merkel affinché il MES venga “comunitarizzato”, anche se poco cambierebbe ove, per l’erogazione degli aiuti, si mantenga il quorum rafforzato dell’85% che presuppone il voto favorevole di Francia, Germania e Italia.
Il tempo stringe. È essenziale ottenere risultati prima della fine della legislatura europea, in scadenza la prossima primavera, contando sugli attuali rapporti di forza nel Parlamento europeo. E stringe anche perché l’ombrello di Draghi è ormai in fase di chiusura. Se il governo anziché prendere posizioni che limitano la nostra credibilità si concentrasse con sano realismo sulla partita delle riforme dell’eurozona potrebbe contribuire a conseguire risultati che potranno metterci al sicuro non solo dalle possibili crisi importate dall’estero, ma anche e soprattutto dalle possibili ricadute macroeconomiche delle costose riforme oggetto del contratto di governo.
Alberto Saravalle