L’editoriale di Franco Venturini di oggi sul Corriere della Sera riporta in primo piano un tema completamente trascurato nel dibattito politico dell’ultimo anno: la nostra politica estera. L’attenzione degli ultimi dodici mesi è stata tutta sulle questioni economiche e il nostro ruolo nel mondo è stato piuttosto quello di imputati per la crisi dell’Eurozona. L’attuale crisi di governabilità ha poi ulteriormente relegato nel dimenticatoio le questioni di politica estera. Invece, per recuperare affidabilità e far valere l’importanza del nostro paese sarebbe ancor più importante avere una voce nelle principali questioni internazionali e in particolare in quelle che riguardano il bacino del Mediterraneo e il Medio Oriente, a noi più vicine.
Così non è stato. In Libia, dove pure avevamo degli interessi strategici, ci siamo mossi male – dopo anni di ostentata amicizia con Gheddafi – e tardi, al traino dei francesi e degli inglesi. Alle Nazioni Unite l’Italia ha appoggiato la risoluzione che riconosce alla Palestina lo status di paese non membro, distaccandosi dalla posizione dei principali stati europei (Germania, Regno Unito e Paesi Bassi) che si sono astenuti e da quella degli USA che hanno votato contro. Sulla Siria, mentre Francia e Gran Bretagna proponevano di togliere l’embargo sulla vendita di armi, prefigurando un possibile aiuto ai ribelli, il Presidente Monti ha abbandonato la riunione del Consiglio europeo per assistere all’inaugurazione della nuova legislatura. Le missioni internazionali di Monti e Grilli degli ultimi dodici mesi avevano solo la valenza di road show per cercare di recuperare investimenti esteri, dimostrando che il paese era avviato su un percorso virtuoso di riforma. Utili, ma non sufficienti. Nel frattempo nel dibattito politico sono emerse forti pulsioni antieuropeistiche, polemiche quotidiane quasi di natura personalistica contro la Germania, ondeggiamenti antimilitaristici e demagogici come la diatriba sugli aerei F35 e i recenti pronunciamenti del Movimento Cinque Stelle sul ritiro anticipato della missione italiana in Afghanistan. L’improvvida gestione della crisi dei Marò con l’India ha poi inferto un forse definitivo colpo alla nostra credibilità internazionale.
La verità è che l’Italia non ha mai saputo svolgere un ruolo importante di politica estera, cercando di essere amica di tutti. Il Governo Berlusconi, ad esempio, aveva preso nette posizioni filoatlantiche e pro Israele, dopo decenni di ondeggiamenti dei leader precedenti e di politiche filoarabe, ma al tempo stesso flirtava con Putin, Chavez e Gheddafi. Essere parte del G8 comporta delle responsabilità sul piano internazionale e bisogna avere una voice chiara e univoca per godere del rispetto dei nostri partner. Peraltro, il maggior peso politico sulla scena internazionale si traduce anche in un vantaggio economico per le nostre imprese perché è suscettibile di favorire scambi commerciali e grandi contratti.
Solo il presidente Napolitano, ancora una volta, ha dimostrato di avere ben chiara l’importanza di una forte politica estera dell’Italia. Grazie a lui i rapporti con gli Stati Uniti si sono rafforzati, nel recente viaggio a Washington e da ultimo con la grazia concessa all’ex capo della base Nato di Aviano.
In una Europa spesso divisa e senza una netta leadership, vi è spazio per l’Italia per rafforzare il rapporto con gli Stati Uniti e cercare di portare a unità le diverse posizioni dei nostri partner, spesso divisi sui principali dossier internazionali. Dobbiamo aver ben chiaro che Corea, Iran, Siria sono problemi anche nostri. Solo così l’Europa potrà pesare di più nel mondo e l’Italia acquistare una propria credibilità, perduta in questi anni.