Giustizia, istituzioni, concorrenza e ora stabilità: non c’è riforma del governo Renzi (compiuta o in itinere) della quale non si sia scritto che “va bene, ma non basta”. Forse è vero, ma – a costo di apparire troppo orientati alla realpolitik – spesso tra il qualcosa di oggi e il niente (o quasi) che abbiamo avuto per un ventennio è meglio qualcosa.
In particolare, è stata criticata da più parti il disegno di legge Guidi sulla concorrenza (che da poco ha superato le secche del voto alla Camera). Da un lato ha incontrato le forti resistenze dei gruppi d’interesse toccati dalla riforma, dall’altro si è detto che alla fine era solo un pannicello caldo. In attesa del voto finale al Senato, non vogliamo tornare sul merito delle scelte effettuate, né soffermarci nuovamente sul valore “segnaletico” di questa legge che – prevista da una normativa del 2009 – per la prima volta troverebbe attuazione. Ci preme, invece, richiamare l’attenzione su come stia cambiando il mercato e dunque anche la nozione di concorrenza e, di conseguenza, il tipo di interventi che si renderanno d’ora in poi necessari per riempire di contenuti la parola “liberalizzazioni”.
Oggi, infatti, non si fa più solo concorrenza sui prodotti o sui servizi all’interno di un certo mercato, cercando cioè di sottrarre il cliente a un proprio diretto competitor facendo leva sul prezzo, sulla qualità o più semplicemente sul marketing. Sempre più spesso, per incrementare le vendite e conquistare nuovi mercati (o talora anche solo per restare nel mercato) si finisce per invadere un campo diverso da quello proprio tradizionale. In taluni casi, per intercettare le mutate esigenze della clientela, si cumulano prodotti diversi, altre volte si deve cambiare invece il modo di fornire il servizio. Così, per esempio, per vendere i telefoni cellulari si inseriscono gadget che consentono di fotografare, ascoltare musica, ecc., per vendere computer si aggiungono di serie i più svariati software, ecc. Parallelamente, per vendere servizi di telefonia si offrono cellulari, tablet o altri device, ecc. Lo stesso, vale per quanto riguarda i servizi più innovativi: si pensi per esempio a Blablacar (che consente di viaggiare con altre persone che hanno in programma di recarsi in auto nella stessa città), Car2go o Enjoy che noleggiano auto da utilizzare in città, Airbnb che premette di utilizzare per brevi periodi di tempo case lasciate libere dai proprietari, e lo stesso Uber pop che ha consentito a persone qualsiasi di trasformarsi in conducenti di autonoleggio.
La lista potrebbe continuare, ma qui interessa solo notare come per favorire la crescita dell’economia si debba prendere atto di questa nuova frontiera della concorrenza, e dove necessario disciplinarla, senza però ostacolarla – come peraltro alcuni Stati membri dell’Ue stanno iniziando a fare. L’innovazione passa anche da qui. Ricordate come negli anni ’80, per rimediare alle inefficienze del servizio postale, nacquero i pony express che effettuavano consegne in città, e le stesse televisioni private altro non furono che una reazione alla tediosità del palinsesto tradizionale della Rai. La concorrenza porta progresso, lavoro e migliora la qualità dei prodotti e servizi.
Non è un caso che oggi, anche in risposta a Uber, dovunque si trovino delle app per smartphone che consentono di chiamare il taxi più vicino in modo più efficiente e rapido. La possibilità tecnica di sviluppare queste applicazioni era ben nota da tempo: ma è solo di fronte alla pressione concorrenziale che un mercato “pigro” come quello delle autopubbliche si è messo in moto e ha cercato di andare incontro alla domanda di servizi sempre più sofisticati.
Dunque, mentre le categorie tradizionali, toccate dall’invasione dei new entrant cercano di erigere barricate per tenere i barbari fuori dalle porte, il legislatore deve aprire questi varchi per lasciar spazio ai prodotti innovativi o a nuove forme di servizio. Ovviamente non devono esservi abusi ai danni dei consumatori, ma questa verifica spetta piuttosto alle autorità di controllo del mercato. Un esempio per tutti è quello del famoso caso Microsoft nel quale la Commissione Ue irrogò una pesantissima sanzione al colosso statunitense per asseriti abusi a danni di altri fornitori di software. A prescindere dal merito di quella decisione (all’epoca molto discussa), è indubbio che l’individuazione del “mercato rilevante” nei procedimenti antitrust sia oggi un compito assai più difficile perché i confini tra i settori economici sono ogni giorno più labili. Solo pochi anni fa, nessuno avrebbe immaginato che la principale concorrenza alla principale compagnia aerea italiana sulla rotta nazionale più redditizia – la Milano-Roma – sarebbe arrivata dai treni ad alta velocità.
In sintesi, la legge di concorrenza può svolgere un ruolo sempre più importante nella legislazione economica del paese, non solo abbassando i costi dei prodotti e servizi, ma anche contribuendo ad aprire nuovi mercati che spesso le barriere che leggi ancora borboniche (o peggio regolamentazioni di settore protezionistiche) rendono possibili. La modernizzazione del paese passa anche di qui. La legge per la concorrenza può divenire lo strumento per questa modernizzazione proprio perché, essendo “annuale”, può rapidamente adeguarsi ai cambiamenti del mercato.
Tornando alle critiche iniziali circa l’insufficienza della legge sulla concorrenza 2015, viene da rispondere che neppure Roma è stata costruita in un giorno. Insomma, come si diceva nel maggio francese, ce n’est qu’un début, continuons le combat!
Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro