La legge è uguale per tutti in Unione europea. Paesi deboli e forti, tutti devono riconoscere il primato del diritto europeo. Questo è il bello della rule of law. Chi ne fa le spese oggi è la Germania, nei cui confronti la Commissione ha avviato una procedura d’infrazione in relazione alla controversa sentenza della Corte costituzionale del 5 maggio 2020 nel caso Weiss, in cui si dibatteva della legittimità e compatibilità con il Trattato del programma di quantitative easing lanciato dalla Banca Centrale nel marzo 2015.
La questione era finita dinanzi alla Corte Costituzionale tedesca che, a sua volta, aveva effettuato un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Quest’ultima, rifacendosi alla propria precedente sentenza nel caso Gauweiler (relativo al programma di Outright Monetary Transactions) deciso sempre su rinvio dei giudici di Karlsruhe, aveva concluso che si trattava di una misura di politica monetaria perché perseguiva l’obiettivo della stabilità dei prezzi (in questo caso declinato come contrasto alla deflazione) e utilizzava uno strumento tipico di questa politica (acquisti sul mercato aperto).
Nel merito, i giudici di Bruxelles avevano ritenuto che il programma non contrastasse con il divieto di finanziamento degli Stati membri in quanto i sottoscrittori dei titoli pubblici non avevano la certezza del riacquisto da parte della BCE. Né – a loro avviso – il programma disincentivava gli Stati a perseguire una sana politica di bilancio, essendo il quantitative easing temporaneo e non potendo essi fare affidamento su tali acquisti.
La questione era quindi tornata dinanzi alla Corte costituzionale tedesca per la decisone nel merito, sulla base dei principi stabiliti dalla Corte di giustizia. La Corte tedesca, però, non solo non si è conformata alla sentenza dei giudici di Bruxelles (come era tenuta a fare), ma ha anche criticato con toni aspri e decisamente irrituali sia la BCE sia la stessa Corte di giustizia. La decisione si è basata sull’asserita violazione del principio di democrazia (art. 23 (1) della Legge fondamentale) secondo il quale gli atti dell’Ue possono produrre effetti in Germania solo se adottati nel rispetto delle competenze stabilite nei trattati istitutivi.
Nel caso di specie, invece, la Corte riteneva che la BCE avesse assunto una decisione ultra vires, in quanto afferente principalmente alla politica economica. In altri termini, pur avendo dichiaratamente inteso perseguire finalità di politica monetaria, non aveva tenuto conto a sufficienza delle conseguenze economiche, né nell’immediato né in seguito. Secondo i giudici di Karlsruhe, la Corte di giustizia aveva accettato passivamente le affermazioni della BCE circa la prevalenza degli effetti di politica monetaria, senza verificarne la correttezza. Pertanto il programma non avrebbe potuto produrre effetti in Germania né vincolare la Bundesbank che avrebbe dovuto ritirarsi e vendere i titoli già in portafoglio, a meno che la BCE (entro tre mesi) avesse adottato una nuova decisione adeguatamente giustificata.
La sentenza aveva sollevato numerose polemiche oltre che sul piano giuridico, non potendo la Corte tedesca disattendere la decisione della Corte di giustizia in virtù del consolidato principio del primato del diritto dell’Ue, anche e soprattutto sul piano economico e politico. Veniva, infatti, messa in questione l’indipendenza della BCE e la distinzione finora sempre riconosciuta tra questioni di politica economica e monetaria. Non solo: sembrava a rischio anche il PEPP — il nuovo programma di acquisti nel frattempo deliberato dalla BCE in risposta alla crisi pandemica — anche se era al di fuori dell’oggetto della decisione.
Alla fine la questione fu risolta con sano pragmatismo: la BCE comunicò che non avrebbe dato alcun chiarimento, ritenendosi soggetta solo ai giudici di Bruxelles, ma nondimeno pubblicò i verbali delle proprie riunioni nei quali si era dibattuta la questione controversa e fornì altra documentazione al Bundestag. Così entro la scadenza del termine di tre mesi, la Bundesbank poté affermare che, al pari del governo e del parlamento tedesco, riteneva che le prescrizioni della Corte costituzionale fossero state adeguatamente soddisfatte.
La decisione della Commissione di intraprendere la procedura di infrazione si spiega con la continua conflittualità che la Corte costituzionale tedesca ha dimostrato nei confronti delle istituzioni monetarie europee e della Corte di giustizia. Nel caso Gauweiler, per esempio, la Corte giunse a dichiarare che non si sarebbe conformata alla sentenza della Corte di giustizia se questa non avesse posto dei limiti al programma OMT. Il che poi non avvenne, ma il precedente costituì una grave lesione. Più di recente, la Corte tedesca sospese inizialmente il processo di ratifica della legge relativa al fondo europeo per la ripresa per valutare la legittimità costituzionale del provvedimento (peraltro, già approvato dalle due camere tedesche). Anche in questo caso, dopo alcune settimane i giudici tedeschi hanno fatto un passo indietro, dando il via libera alla ratifica.
Sebbene finora si sia evitato lo scontro finale, queste reiterate prese di posizione, nelle quali la Corte tedesca si erige a baluardo difensore dei diritti dei contribuenti tedeschi, a rischio di essere depauperati da spese “fuori bilancio” causate da potenziali scelte improvvide delle istituzioni europee, sono frustranti e pericolose. Bene dunque ha fatto la Commissione a contestare alla Germania questo comportamento. Troppe volte, la Commissione è stata rimproverata per essere stata forte con i deboli e debole con i forti. Mentre si apre la partita della valutazione dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza, è bene che sulla moglie di Cesare non vi sia neppure l’ombra del dubbio.