Privatizzazioni: perchè sono necessarie e come vanno fatte
06/02/2013 di Alberto Saravalle.

Mentre si parla di necessità di nuove privatizzazioni, ecco arrivare il monito della Corte dei Conti sugli asset apparentemente svenduti per fare cassa.Facile immaginare che si inneschi una polemica dei tanti oppositori delle privatizzazioni che fanno leva su timori spesso irrazionali per bloccare un processo ineludibile e mantenere così sotto il controllo pubblico beni e aziende che potrebbero essere gestiti in modo più efficiente e trasparente. Credo pertanto sia utile dare qualche chiarimento.Tra il 1994 e il 2005 sono state effettuate molte importanti privatizzazioni, per lo più parziali, che hanno contribuito a ridurre il rapporto tra debito e PIL di 16 punti (dal 121% al 105%). Si ricordi he le privatizzazioni sono iniziate dopo la crisi del 1992 quando la lira fu svalutata e fummo costretti a uscire dallo SME.
Tra le varie privatizzazioni, avvenute per lo più attraverso offerte pubbliche di vendita, ricordiamo le cessioni di quote consistenti dell’ENI, dell’ENEL, di Telecom Italia, di Autostrade…
L’accusa che viene mossa ora – forse un po’ tardivamente – dalla Corte dei Conti è che sia mancata una vera regia centrale da parte del Comitato Privatizzazione presieduto dai Direttori Generali del Tesoro che si sono succeduti nel tempo.
A me pare difficile valutare col senno di poi se le offerte gestite da alcune delle principali banche al mondo con tecniche trasparenti e utilizzate in tutto il mondo avrebbero potuto realizzare maggiori introiti. Posso però dire che in questo modo abbiamo creato delle società aperte al mercato e non più detenute dal Ministero delle Partecipazioni Statali, con tutte le conseguenze positive che si possono immaginare.Ancor oggi, peraltro, queste sono tra le principali imprese del paese, a conferma che la privatizzazione non ha certamente nociuto loro. E lo stesso vale per i consumatori dei servizi erogati che ne hanno sicuramente beneficiato. Si può certamente imparare dagli eventuali errori commessi nel passato, ma non mi sembrerebbe corretto trarne argomenti per rimettere in discussione un processo che ha contribuito non solo a migliorare la situazione della finanza pubblica italiana, ma anche a rendere queste grandi imprese più trasparenti, assoggettandole alla disciplina delle società quotate.Condivisibile è, invece, è la seconda critica che viene mossa dalla Corte dei Conti. Il mantenimento della “golden share” per mantenere una forma di controllo su queste società anche dopo la loro privatizzazione avrebbe reso meno appetibili le imprese, dando vita “a un sistema non compiutamente liberista, diversamente da quanto auspicato”. In effetti, il malaccorto tentativo di “avere la moglie ubriaca e la botte piena” non ha funzionato bene.
Lo Stato da un lato voleva vendere per fare cassa, ma dall’altro voleva mantenere comunque il controllo delle società per influenzarne comunque le decisioni. Ovviamente di ciò erano pienamente consapevoli gli investitori: per questo le privatizzazioni parziali risultavano meno attraenti.In ogni caso, al di là di queste polemiche, la realtà è che le privatizzazioni oggi più che mai sono necessarie per ridurre il debito pubblico e quindi riequilibrare i conti dello Stato. Solo così si potrà ridurre il carico fiscale e riprendere a investire in settori essenziali come scuola, università, ricerca.Ovviamente, occorrerà farlo in modo trasparente, secondo le best practices che ormai si sono consolidate. Oggi, ad esempio, ci sono delle linee guida emanate da istituzioni internazionali come la World Bank che danno chiare indicazioni su come il processo debba essere condotto. Inoltre, le privatizzazioni devono andare di pari passo con le liberalizzazioni per evitare che si passi da un monopolio pubblico ad uno privato.

 

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