La Commissione Ue ha varato una proposta di regolamento per contrastare la concorrenza sleale delle imprese sovvenzionate dai governi esteri. L’obiettivo è condivisibile: mentre le aziende europee non possono beneficiare di aiuti di Stato, non ci sono vincoli per i soggetti extra-Ue. Ma lo strumento è adeguato?
Il regolamento considera tre tipologie di distorsioni alla concorrenza: sussidi nelle operazioni di fusione e acquisizione, negli appalti pubblici e nelle altre ipotesi (investimenti greenfield, per delocalizzare la produzione, concentrazioni e appalti sotto soglia).
Al di là delle buone intenzioni, non è per nulla scontato che la Commissione sia in grado di accertare l’esistenza di sussidi né concludere che siano distorsivi. Il contenzioso sugli aiuti di Stato in Ue mostra come la questione sia complessa persino all’interno di un ordinamento armonizzato e trasparente. Bruxelles avrà ampi poteri di indagine che però si fermano ai confini dell’Ue. C’è Il rischio di valutazioni sommarie e con eccessivi margini di discrezionalità (è previsto un “balancing test” per verificare se gli effetti negativi della distorsione sono bilanciati da effetti positivi sullo sviluppo dell’attività economica rilevante).
Inoltre, benché l’obiettivo (non troppo dissimulato) sia di frenare l’espansionismo economico cinese, il provvedimento potrebbe rivelarsi inefficace (causa l’opacità di quel mercato), finendo per prendere di mira invece le imprese americane e inglesi. Infatti, paradossalmente, sarà più facile ottenere informazioni proprio dai paesi più aperti.
Sorge un dubbio. La Commissione è stata incalzata in questi anni, soprattutto da Francia e Germania, desiderose di proteggere a ogni costo i campioni europei. Il vero scopo del regolamento è proteggere la concorrenza o consentire interventi discrezionali sul mercato per fare politica industriale?