L’Europa sta riprendendosi in termini economici, ma rischia di perdere l’anima. Mentre i principali indicatori tornano positivi, aumentano le preoccupazioni per le violazioni di principi fondamentali dello stato di diritto quali diritti della persona, indipendenza della magistratura, libertà di organizzazione, ecc. Situazioni che pensavamo fossero state sradicate dal nostro continente.
Non si tratta più solo di Ungheria o Polonia. I risultati delle elezioni in Austria e Repubblica ceca devono suonare un campanello d’allarme. Non si può generalizzare, ma è ancora vivo il ricordo degli eccessi, non degni di un paese democratico, per impedire il voto in Catalogna. E anche la situazione a Malta è preoccupante al punto che il Parlamento europeo ha inviato una delegazione.
L’Ue è spesso intervenuta senza sortire risultati. Le procedure di infrazione si susseguono: a giugno contro Ungheria, Repubblica ceca e Polonia per i mancati ricollocamenti dei migranti; a luglio contro l’Ungheria per le limitazioni imposte alle organizzazioni non governative straniere e contro la Polonia per i maggiori poteri di controllo sulla magistratura. Infine, a settembre la Corte di Giustizia ha respinto il ricorso di Ungheria e Slovacchia contro il meccanismo di ricollocazione obbligatoria dei richiedenti asilo del 2015 per aiutare Grecia e Italia ad affrontare il flusso di migranti. Il governo ungherese ha però dichiarato che non intende adeguarsi al dettato della Corte.
Le sanzioni pecuniarie, per quanto significative (l’Italia nel tempo ha pagato più di 180 milioni di euro per i propri inadempimenti), non sono sufficienti a far mutare orientamento a questi governi autocratici, specie, in una fase pre-elettorale.
Il Trattato Ue prevede un’apposita procedura che consente, qualora il Consiglio verifichi la violazione grave e persistente dei valori fondanti dell’Unione, perfino di sospendere i diritti di voto in seno al Consiglio. Nonostante la Commissione stia da tempo minacciando la Polonia di attivarla, resta però una minaccia solo sulla carta. E’ infatti pressoché impossibile ottenere la necessaria unanimità in Consiglio.
Molti leader europei (Renzi, Macron, il cancelliere Kern, il Commissario Oettinger) hanno suggerito di tagliare l’accesso ai fondi strutturali ai paesi che violano i principi dello stato di diritto. Si potrebbe introdurre nella disciplina dei fondi per il periodo 2021-2027 una clausola che consenta di sospenderne l’erogazione in presenza di simili violazioni. Ma senza dover attendere tre anni, già con l’attuale disciplina si può cercare di sospendere il pagamento dei fondi, sostenendo che le politiche adottate contraddicono gli obiettivi generali per i quali sono erogati. Anche l’Italia subì un simile trattamento: dopo l’avvio della procedura di infrazione per l’inadeguato sistema di smaltimento rifiuti, la Commissione rifiutò il pagamento dei fondi per la loro gestione. L’Italia impugnò, ma la Corte di giustizia respinse il ricorso.
Siamo a un bivio e occorrono scelte forti. O l’Ue stronca sul nascere queste derive antidemocratiche o dobbiamo prendere atto che la sua funzione è cambiata e adeguarci sul piano delle regole. Diventare cioè solo un grande mercato interno come forse questi paesi vogliono. Per essi l’adesione all’Ue non è mai stata una scelta idealistica, ma solo un matrimonio d’interesse. Perciò, nonostante le vivaci polemiche contro l’Ue, non intendono recedere. Vorrebbero piuttosto una diversa Unione, in cui il potere di Bruxelles sia limitato e ampie aree di sovranità tornino agli Stati nazionali.
Tocca certo all’Ue ripristinare con ogni mezzo il rispetto della “rule of law”, ma anche i grandi Stati hanno una responsabilità cui non possono sottrarsi per motivi di convenienza o buon vicinato. Se le sanzioni non basteranno, occorre muovere verso un’Europa a più velocità in cui l’appartenenza al nucleo più integrato presuppone la piena accettazione dei valori fondanti. La graduale “corsa al ribasso” nella tutela dei diritti non può essere un’opzione. Come potremmo pretendere da terzi (es. Turchia) ciò che noi stessi non rispettiamo?
Alberto Saravalle