Per metterla in termini cinematografici, non si può certo dire che quella del 2014 sia stata una lunga estate calda: ma per il governo Renzi l’autunno rischia di essere rovente. La deludente performance macroeconomica dell’eurozona, e il ritorno dell’Italia alla recessione, sono le colonne d’Ercole che il premier dovrà superare: per raggiungere il suo obiettivo politico (consolidare il successo elettorale e restare nella storia contemporanea del nostro paese) dovrà adottare misure tali da produrre effetti sull’economia (la ripresa).
Renzi continua a spandere ottimismo, perché se desse spazio a visioni cupe finirebbe per amplificare gli effetti di quella che ormai non si può neppure più definire come congiuntura negativa ma che è, piuttosto, parte integrante di un declino di lungo termine. Ma deve fare attenzione a non venire caratterizzato come un imbonitore che dispensa facili speranze, alla stregua di Berlusconi. Tuttavia, a Palazzo Chigi, così come a Via XX Settembre, non può non esservi la consapevolezza della difficoltà del momento e della necessità di misure radicali, come quelle che dalle colonne delCorriere della sera continuano a sollecitare Alberto Alesina e Francesco Giavazzi. Non v’è dubbio che, come sostengono i due economisti, l’Italia abbia bisogno di una riduzione sostanziale della pressione fiscale su lavoro e impresa, e che tale riduzione possa essere realisticamente coperta da tagli di spesa solo nel medio termine. Questo creerebbe un temporaneo disallineamento dall’obiettivo del 3% di rapporto tra deficit e Pil: una deviazione dall’austerity che può essere “comprata” solo al prezzo di altre riforme pro-crescita, sulla scorta di quanto delineato ormai tre anni fa dalla famosalettera della Bce che pose fine all’epoca berlusconiana.
Un possibile itinerario di riforme è, per esempio, illustrato nel tradizionale “Manuale” dell’Istituto Bruno Leoni, presentato alla vigilia delle elezioni politiche. Ma è assai improbabile che un governo, per giunta caratterizzato da una maggioranza peculiare come quella che appoggia Renzi, possa spingersi tanto in là. Il Manuale dell’IBL, infatti, offre un sentiero coerente e organico, ma anche radicale, che deve essere pienamente interiorizzato e soprattutto che richiede tempo e solidità politica. Il primo ministro ha oggi a disposizione solo metà della legislatura, e cammina sulle uova di un Parlamento ostile. Nessuno si può realisticamente aspettare da lui i superpoteri: ma al tempo stesso egli ha il dovere di mettere in moto un processo che spinga il paese in quella direzione.
Cosa c’è, invece, nell’agenda dell’esecutivo, e cosa dovrebbe esserci?
Prima di rispondere a questa domanda, è necessario definire una deadlineche potrebbe fare da spartiacque per il governo: la presentazione della legge di stabilità, prevista per metà ottobre, che dovrà definire il quadro di finanza pubblica per il 2015 e chiarire – tra l’altro – se gli “80 euro” sono stati un’iniziativa estemporanea oppure permanente. Quello sarà inoltre il momento del dunque rispetto ai conti nel 2014: il governo riuscirà a trovare un equilibrio oppure dovrà ricorrere a una manovra correttiva? E quale sarà il destino della spending review?
Il contenuto della legge di stabilità dipende dai provvedimenti che Renzi metterà in cantiere nel frattempo. Al momento i principali sembrano andare a toccare punti nevralgici: gli investimenti infrastrutturali con lo “Sblocca Italia”, le inefficienze della PA con le riforme della giustizia civile e scuola, il sistema tributario con la delega fiscale, il mercato del lavoro, e le dinamiche concorrenziali con la legge annuale per la concorrenza. Ciascuna di queste misure è necessaria, ma – diciamolo chiaramente – nessuna è di per sé risolutiva. Tutte sono strumentali sia a rilanciare la produttività totale dei fattori (come ben spiegato da Alberto Bisin in questo dibattito con Stefano Fassina) sia a dare forza a Renzi nelle sue negoziazioni con Bruxelles.
Tutte queste misure dovranno rispettare alcuni vincoli. Esse dovranno innanzitutto produrre risultati visibili – quanto meno nel comportamento degli agenti economici – nel breve termine. A tal fine, è necessario che siano quanto più possibile “auto-applicative”, evitando rinvii a normativa secondaria, decreti attuativi, ecc. (che ormai tutti sanno essere spesso un modo per ritardare o annacquare i provvedimenti annunciati). È inoltre necessario che siano internamente coerenti, ed esternamente in equilibrio le une con le altre, in modo da vincere congiuntamente (e non singolarmente) le resistenze politiche. Per paradosso, nel gioco riformista è più facile fare poker che coppia: è più probabile “portare a casa” contemporaneamente misure che scontentino molti gruppi di pressione tutti assieme piuttosto che attaccarli uno per volta. Il governo deve stare attento a non dare la sensazione di voler aggredire specifiche constituency, ma rendere
visibile il proprio progetto di riforma a 360 gradi.
La tabella di marcia dovrà essere serrata: tutti questi provvedimenti dovranno essere, se non approvati, quanto meno presentati entro la fine di settembre, altrimenti il coordinamento con la legge di stabilità rischia di andare perduto. Del resto è lo stesso Def presentato da Renzi al momento del suo insediamento a spianare la strada a queste iniziative. Né esiste alcuna alternativa concreta: la ristrutturazione del debito che ha tenuto banco sui giornali in queste settimane agostane è una chimera che ovviamente (e fortunatamente) non ha alcuna possibilità di trovare attuazione così come le altre facili scappatoie di cui ogni tanto si sente parlare. Dunque, Renzi, pur circondato dai cecchini pronti al “fuoco amico“, ha un unico ma potentissimo alleato: l’ormai indifferibile esigenza – interna ed esterna – di realizzare le riforme strutturali.
La vera sfida che dovrà vincere, insomma, è quella di trasformare la necessità contabile in virtù riformista. E potrà farlo solo scandendo una tabella di marcia che sia credibile ex ante ma soprattutto che sia effettivamente rispettata. Finora il governo ha dato mostra dei suoi limiti e difetti, ma anche dei suoi pregi, a partire dalla determinazione a portare a casa i risultati come è accaduto, per esempio, con la riforma del Senato. Questa stessa determinazione dovrà essere rafforzata e moltiplicata per presidiare i prossimi provvedimenti, ma ancora prima dovrà essere utilizzata per forgiare norme che possano veramente imprimere un cambiamento: per fare solo alcuni esempi, la reale introduzione del contratto a tutele crescenti, il riavvio del cammino delle liberalizzazioni, la semplificazione del sistema tributario, la spending review, la riorganizzazione di scuola e giustizia. Tutti dossier che sono sulla scrivania del premier.
Renzi dovrà sfruttare al massimo una caratteristica che ha finora dimostrato di possedere: dovrà resistere alle sirene dei cattivi consiglieri che richiamano all’unità e al consenso per realizzare le riforme. Per definizione, le scelte che si impongono pestano i piedi ai tanti titolari di posizioni di rendita che ingessano il paese. Dopotutto, Renzi ha conquistato la leadership con la promessa di una diversa modalità di gestione della cosa pubblica e dei conflitti. È il momento di dimostrarlo con tutta la tenacia di cui è capace. Insomma, ce lo attendiamo alla ripresa più agguerrito e memore delle parole di Mao: la rivoluzione non è un pranzo di gala.
Carlo Stagnaro e Alberto Saravalle