Le dimissioni di Enrico Letta e il probabile incarico a Matteo Renzi sono un passaggio decisivo per il futuro dell’Italia. Dalle prossime scelte di Renzi vedremo se il segretario del Pd è davvero la novità che promette di essere.
Per capire cosa deve fare e da quale punto di partenza muoverà i primi passi il (quasi) premier incaricato, serve anzitutto una valutazione serena e oggettiva dell’esperienza precedente. A Letta bisogna riconoscere alcuni successi politici (in particolare, la crisi indotta nel centrodestra) e un importante profilo internazionale, come ha scritto Pierluigi Battista. Inoltre il suo esecutivo – che è stato accusato di aver fatto poco – ha non di meno individuato correttamente le priorità (e questo, in Italia, non è poco): dalle privatizzazioni alla campagna per attirare investimenti esteri attraverso riforme strutturali, dalla spending review all’agenda digitale, dal riposizionamento italiano in Europa alla riduzione delle tasse su lavoro e impresa. Certo, ha commesso anche una serie di errori, in parte dettati dalle peculiarità della “strana maggioranza” con cui si è trovato a operare (vedi Imu) e in parte da un’eccessiva inclinazione alla mediazione. Il programma Impegno Italia coglie queste esigenze di chiarezza e accelerazione, ma arriva tardivamente e, ormai, a “funerale politico” già fissato. Nel complesso, si può dire che il governo Letta sia stato migliore di molti altri, ma è mancato il colpo d’ala sull’economia. E lo stesso premier non ha avuto, nella gestione quotidiana degli affari di governo, quel quid che invece in talune occasioni – inclusa la crisi politica di questi giorni – ha dimostrato di avere.
Renzi arriverà (presumibilmente) a Palazzo Chigi sulla scorta di questa eredità, fatta di tanti piccoli passi nella giusta direzione e alcuni svarioni. La sua efficacia come premier si misurerà non tanto sul coraggio, di cui ha già dato ampia mostra, ma soprattutto sulla sua capacità di “fare”. Vorrà naturalmente portare un contributo innovativo a Palazzo Chigi (mercato del lavoro, riforme istituzionali, ecc.), ma questo chiederà inevitabilmente tempo. Le prime mosse su cui sarà giudicato riguarderanno la gestione dei dossier aperti. Ne citiamo tre.
Il primo – quello più sensibile per l’opinione pubblica – è il riordino della tassazione sugli immobili. Questa è, per certi versi, la partita più delicata, perché il sindaco (uscente?) di Firenze dovrà rimediare un pasticcio non pienamente imputabile a Letta e Saccomanni, ma nel quale comunque il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Economia hanno avuto serie responsabilità. L’obiettivo deve essere triplice: (1) non aumentare il prelievo rispetto ai livelli 2012 (cioè all’originario disegno Imu+Tares), (2) costruire attorno a questo pilastro l’autonomia fiscale degli enti locali, e (3) distinguere nettamente il finanziamento dei servizi individisibili da quello dei servizi a domanda individuale (in primis i rifiuti). L’esperienza amministrativa di Renzi e di molti dei suoi collaboratori può portare al governo una sensibilità che finora è stata insufficiente. Vedremo la svolta?
Il secondo dossier è quello delle privatizzazioni. Letta ha avviato il processo di dismissione di quote di minoranza in una serie di aziende pubbliche. L’operazione più rilevante riguarda Poste, ma sono interessate anche importanti imprese quali Fincantieri, Enav ed Eni. Ciascuna di esse fa storia a sé e meriterebbe un approfondimento. In particolare, per le Poste è probabilmente il caso di ripensare a modalità e tempistica. Giusta l’esigenza di realizzare entro l’anno delle prime operazioni, ma è mancata una visione d’insieme. Sarebbe da ricuperare, nella lettera e nello spirito, l’emendamento Lanzillotta-Mucchetti che proponeva di incardinare il Comitato Privatizzazioni sotto Palazzo Chigi, per dare alle privatizzazioni la giusta prospettiva non solo contabile, ma anche industriale e politica. Renzi giocherà questa carta?
Infine, il terzo cantiere aperto è quello dei tagli alla spesa pubblica, spesso evocato dal governo precedente che però si è, di fatto, chiamato fuori dalle difficili scelte politiche che ne conseguono, lasciando carta bianca a Cottarelli sul piano tecnico ma senza dargli adeguata copertura politica. Un settore nel quale si annidano rendite, inefficienze e “incrostazioni” è quello dei servizi pubblici locali, come giustamente ha ricordato di recente anche il Commissario alla spending review. Qui non serve – se non in pochi casi settoriali – una nuova disciplina, quanto piuttosto dare piena attuazione alle norme vigenti e interpretare rigidamente i confini del ruolo degli enti locali. Ovviamente, la riforma del Titolo V della Costituzione aiuterebbe, consentendo di intervenire più incisivamente nei confronti degli enti locali più riottosi alle direttive centrali e che versano in situazione deficitaria. Se, poi, contestualmente Renzi riaprisse il capitolo delle liberalizzazioni (dando corso all’ultimasegnalazione dell’Antitrust in relazione alla legge annuale per la concorrenza), l’Italia potrebbe avvicinarsi alle best practice europee. E’ stato stimato, per esempio, da Forni, Gerali e Pisani che vi sia un tesoretto pari all’11% del Pil a fronte di una rivoluzione concorrenziale nel settore dei servizi.
Renzi si gioca oggi il tutto per tutto. Un aspetto positivo della staffetta è che il segretario del Pd si lancia nel vuoto senza rete: non solo il futuro del paese, ma il suo stesso destino politico dipende dalla capacità di mettere a segno i colpi principali della sua azione di governo fin dall’inizio. Questo crea un forte incentivo a fare le cose giuste, ma implica anche un enorme rischio individuale e collettivo. Dai frutti riconosceremo l’albero.
Carlo Stagnaro e Alberto Saravalle